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Numero 13



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Prima che l’uragano arrivi, James Lee Burke, Meridianozero 

Di solito non scrivo lettere di protesta (i miei scarsi rudimenti di marketing dicono che questa passività è tipica del consumatore italiano), ma al termine di Sunset limited di James Lee Burke ne scrissi una ai tipi di Meridianozero. Una incredibile quantità di refusi aveva infatti nuociuto non poco al piacere della lettura di quello che indubbiamente era un buon libro. Insomma, pensai, dovevo farlo per onorare l’impegno e il talento dell’autore del quale, nel frattempo e a sua insaputa, ero diventato amico.
Alla Meridianozero furono molto gentili: non solo si scusarono e mi spiegarono di avere inavvertitamente mandato in stampa le bozze sbagliate, ma mi spedirono, a titolo di risarcimento, copia di un altro romanzo del nostro, La ballata di Jolie Blon, affermando che mi sarebbe piaciuto anche più del precedente.
Fu così infatti. Tanto mi piacque il libro (ricevuto di lì a pochi giorni), che immediatamente acquistai tutto quello che mi riuscii di trovare di Burke in libreria.
L’ultimo letto è appunto Prima che l’uragano arrivi, un libro straordinario di un autore settantaduenne che appare tutt’altro che stanco o appagato. Sembra anzi che la vecchiaia stia giovando al nostro. Forse perché, dopo una vita passata a svolgere i lavori più disparati, ora conduce una serena esistenza semi stanziale, tra il Montana e New Iberia, una cittadina a 100 miglia da New Orleans dove sono ambientate tutte le storie del poliziotto Dave Robichaux.
Quella di Prima che l’uragano arrivi, è molto più di una tipica, intricata crime story. È il definitivo tributo a una terra, la Louisiana, dove più che altrove si avverte un senso di tragica imminenza. Dove il ricordo di un’epoca in cui la mano dell’uomo esaltava la bellezza di una natura selvaggia, rende ancora più dolorosa la consapevolezza di un presente fatto di soprusi e abusi, ideale e inevitabile teatro per la furia devastatrice di Katrina.
Burke ci prende per mano e ci porta lungo il Bayou Teche iniziandoci a questa America di altri tempi, inebriandoci con i colori gli odori e i sapori che fanno da sfondo alle dolorose vicende di una umanità varia e ricca di contraddizioni, dove l’odio razziale è ancora fortissimo e ogni spinta all’emancipazione è stata vanificata dalla diffusione del crack nei quartieri popolari.
I personaggi che animano queste vicende non durano talvolta che lo spazio di una pagina e tuttavia possiedono un’umanità straordinaria che Burke gli conferisce dipingendo illuminanti squarci del loro passato. Perché Burke racconta il male certo, nella sua ineluttabilità e talvolta banalità, ma vuole credere che le persone siano migliori di quello che sembrano e che sono costrette ad essere. Così accade che uno spacciatore nero impartisca una lezione di morale a un benestante e rispettabile bianco. O che un poliziotto assista, ubriaco e impotente, all’assassinio di un collega.
Gli assassini di (cui ci parla) Burke non sono sofisticati serial killer vanesi ma persone “che non hanno avuto la possibilità di scegliere il mondo in cui nascere” e le cui azioni sono a un tempo conseguenza di drammi sociali e causa scatenante di ulteriori conflitti. Per questo ci è difficile odiarli. Perché alla fine essi non sono che vittime a loro volta. Alla fine ciò che proviamo per loro è autentica compassione.
Ed è questo il più grande merito di Burke.

Ho già acquistato L’urlo del vento (l’ultima fatica di Burke pubblicata da Fanucci) che se ne sta in cima alla pila dei libri da leggere. Mi ci vorrebbe una bella influenza per leggerlo tutto d’un fiato. Confido in un autunno freddo… 

(Giulio Crotti)







Norwegian Wood di Haruki Murakami, Eiunaudi

Quante volte vi è capitato di scegliere un libro solo perché legato ai gusti di una persona che apprezzate? Per poi scoprire da lì – da quella scelta apparentemente casuale e arbitraria – un nuovo, inatteso piacere nello scivolare lungo la superficie liquida e cristallina di parole in armonia così perfetta tra loro. 

Nel mio caso, è stato così per Norwegian Wood di Haruki Murakami. Un’immediata conquista. Un filo speciale, che lega il mondo narrato nel libro (e il suo autore) alla vita presente, tessendo una trama particolare di persone, esperienze, emozioni vissute. Era da tempo che non leggevo un libro con tanta intensità e voracità, e non mi aspettavo il risveglio di un tale famelico interesse a scorrere le pagine del libro per seguire il protagonista e gli altri personaggi nei meandri delle loro esistenze, e inoltrarmi – per ritrovarmi – nelle sfumature dei loro pensieri.
Non so se possa essere definito semplicemente un romanzo di formazione: di certo, il racconto segue la crescita e la maturazione del sentimento per l’Amore e per la Vita di Toru, un ventenne piuttosto solitario e “normale” – come si definisce lui stesso – ma curioso verso le profondità dell’animo umano, proprio e altrui. Tuttavia, c’è qualcosa che va oltre, e lo si percepisce fin da subito: le esperienze più intense che lui - studente nella Tokyo “agitata” dai movimenti della fine degli anni Sessanta – farà, e che segneranno profondamente la sua adolescenza, sono proprio quelle dell’Amore e della Morte. Quest’ultima come opposto ontologico, complementare, del primo. Dice il filosofo Umberto Galimberti: «Il contrario della Morte non è la Vita, ma l’Amore, poiché non c’è Vita che possa sostentarsi senza Amore». La Morte è presente lungo tutto il libro, toccando direttamente alcuni personaggi, ma segnando anche un sottofondo costante che permea le vicende narrate. 

Fine della vita sia causata dalla malattia, sia procurata per propria volontà. L’Amore è altrettanto presente - quasi a fare da contraltare alla minaccia mortale - come elemento indissolubilmente intrecciato alla forza con cui si esprime la giovinezza, fatta di incontenibile vitalità, e al suo tramutarsi in dolore e ricordo quando sopraggiunge, improvvisa come un temporale estivo, la Morte.
Il giovane Toru è chiamato dalla Vita ad affrontare l’Amore e la Morte. In questo percorso, confuso, necessario, dolce e amaro, c’è la crescita, la maturazione, il divenire, la forza dell’animo, le responsabilità da assumersi, nell’avviarsi verso il mondo, verso l’età adulta. Toru, nel quieto turbinio delle sue emozioni, conoscerà i modi di amare due ragazze tra loro molto diverse, anzi, opposte, come la Vita e la Morte – appunto - ma allo stesso modo complementari. L’amore complicato con Naoko, ragazza segnata da profonde ferite psicologiche (una delle quali rappresenta l’elemento che la lega a Toru), ferite che cerca di rimarginare in un centro di recupero lontano dalla realtà, sperduto nella natura incontaminata. L’amore vivo e pulsante con Midori, sua compagna di studi, che le esperienze dolorose della vita le ha sapute - e dovute - a suo modo affrontare, tirando fuori grinta e forza, che però nascondono – forse – una qualche forma di debolezza, ma soprattutto un forte desiderio di protezione e bisogno d’amore incondizionato. Naoko: un equilibrio delicato e instabile, sempre minacciato dall’ombra della Morte, destino lontano, divenuto invece ineluttabile. Midori: un feeling dichiarato ma continuamente rincorso, una naturalezza vitale, di cui si nutre il rapporto tra i due, la quale stenta ad essere pienamente riconosciuta da parte di Toru – riconoscimento tanto atteso, invece, da Midori. 

È Toru stesso, in prima persona, a raccontarci con grande precisione e nitore tutte quelle particolari esperienze che hanno segnato i tre anni del suo periodo post-adolescenziale: le persone incontrate e quelle amate, i luoghi percorsi e quelli vissuti, le situazioni divertenti e quelle dolorose, le emozioni limpide e quelle confuse, mettendo da subito il lettore in rapporto diretto con la narrazione, per lasciarlo perdersi in quell’infinito flashback di ricordi…
Ecco, quello che lascia in maniera così generosa l’autore, Haruki Murakami, è una descrizione incredibilmente intensa, dai toni così puri, rigorosi, semplici, delicati, perfetti, come solo può essere un fiore di ciliegio, cresciuto in uno di quei meravigliosi giardini giapponesi. Un profumo mai sentito, solo immaginato, ma con una forza e verità tali da non far bramare altro che la voglia di assaporarlo dal vivo. Japan dreaming…

Chiara Mistri 



La regina veneziana, di Silvia Alberti De Mazzeri, Piemme

“La passione e l’onore sono due cose opposte… Solo la potenza divina può congiungerle. E io ho fatto la mia scelta.”

Queste parole pronunciate da Giorgio Cornaro riassumono bene l’atmosfera di intrighi e di inganni che anima questo libro.
La protagonista di questo avvincente romanzo storico è Caterina Cornaro, sorella di Giorgio, che fu regina prima di Cipro e poi di Asolo. La vicenda si svolge nell’arco di una trentina d’anni circa, dal 1471 al 1510. Teatro di queste avventure è la Repubblica di Venezia e i suoi possedimenti Cipro ed Asolo.
La corte regale della regina Caterina è popolata da tutta una serie di personaggi illustri del tempo come il cardinale Giulio Orsini, Marco Venier, i membri della famiglia Morosini, Diego d’Aragona, Pandolfo Malatesta, i Borgia e il poeta Pietro Bembo. Tradimenti, congiure, torture, uccisioni, morti sospette e avvelenamenti si succedono a ritmo incalzante sullo scenario narrativo, ma l’atmosfera che si respira non è quella di un thriller spaventoso, ma quella di un romanzo storico, intriso di forti passioni e di accesi sentimenti.
L’autrice di questa abile e interessante ricostruzione è Silvia Alberti de Mazzeri che ha già pubblicato libri a sfondo storico, come Le donne di Garibaldi (Editoriale Nuova), Leonardo: l’uomo e il suo tempo (Rusconi) e Beatrice d’Este: duchessa di Milano (Rusconi).
Leggendo i libri di Silvia Alberti de Mazzeri è inevitabile subire il fascino del vortice intrigante delle passioni e delle storie d’amore che vi si dispiegano. L’invito che si rivolge qui al lettore è quello di lasciarsi travolgere da questo flusso incessante degli eventi narrati e rivivere l’atmosfera della corte di Caterina Cornaro, ricordando sempre che la passione e l’onore non possono mai andare d’accordo, come ci dice Giorgio Cornaro. O forse alla fine del romanzo questi due elementi non saranno più così antitetici?

(Gloria Camesasca)